Nel 1962, Chris Marker artista indipendente del mondo cinematografico francese, gira un mediometraggio di circa 25 min. che intitola La jetée. Il cinema e la fotografia erano state inventate nel secolo precedente, entrambe avevano parzialmente a che fare con la costruzione di un luogo attraverso la limitazione dello spazio che era propria dell'inquadratura. A proposito di questo, una decina d'anni dopo La jetée, suggestionato da un racconto di Julio Cortàzar, Michelangelo Antonioni gira Blow up, storia di un ingrandimento fotografico che apre lo spazio di un racconto giallo dove la dimensione temporale pare rovesciarsi proprio a causa di una fessura, una voragine aperta tra due lembi di tempo che si toccano come fosse un anello di Moebius, rovesciando di conseguenza i principi di causa ed effetto. In La jetée era successo lo stesso, eppure non era solo questo, la deformazione del tempo della narrazione o dei suoi principi aveva compromesso anche il tempo principale su cui essa si poggia, il tempo delle immagini sovrimpresse nella pellicola, il tempo dei fotogrammi.
La storia adottata da una voce narrante per recuperare l'agilità della narrazione è però fossilizzata nei fotogrammi, rappresa all'immagine, diviene quasi completamente un fotoromanzo. Ma non è solo questo, sembra che il film sia al di là, sia una risonanza che può esistere solo nella costruzione di un luogo che dia avvio alla contemplazione. Ma alla contemplazione di cosa e da parte di chi? Si potrebbe parlare di più piani e più soggetti, ma credo prima di tutto si tratti della contemplazione di un personaggio, che abita per il tempo del film nello spettatore, della propria storia.
Il film appare, come per le foto di Ghirri di cui si è parlato qualche post fa, anche come una riflessione sulla visione e si potrebbe dire aridamente con accademia trattarsi di metacinematografia.
Ma poi, bruciando in un sol colpo ogni manuale o spicciola definizione, anche le mie, tra i 35'' e i 55'' della terza parte che inserirò in questo post, si assiste a una delle sequenze più toccanti e limpidamente straordinarie del cinema di sempre.
Se la tecnica, la sintassi, la scrittura possono contenere i riflessi delle emozioni, trasformandosi in emozioni esse stesse, allora questo è il caso. Un film destrutturato e fissato in un montaggio di fotogrammi consequenziali, sull'immagine di un volto amato recupera il tempo e la vita e il montaggio si fa serrato aiutato dalla musica nella climax ascendente, i fotogrammi sempre più rapidi e improvvisamente come si trattasse di una qualsiasi pellicola che scorre a permetterci l'illusione visiva di un movimento naturale assistiamo a un piccolo gesto di quel viso, movimenti quasi impercettibili, per pochi secondi, che contengono tutta la forza e la drammaticità e tutta l'ineffabilità espressa dal cinema di una visione, di una contemplazione.
Vi lascio alla vostra visione, sperando vi piaccia.