Avvertenza:
se non avete visto entrambi i film non leggete questo post.
A distanza di poco tempo sono usciti (almeno per quanto riguarda l'italia) due film sulla scuola, molto diversi tra loro. Non voglio dilungarmi ora sulle differenze qualitative tra i due che mi porterebbero forse a una vistosa bocciatura di Detachment ma scrivo per riflettere su delle caratteristiche innegabilmente convergenti: Monsieur Lazhar si apre con un suicidio e Detachment si chiude, o meglio si avvia verso la fine, con un suicidio. Nel primo caso a suicidarsi è un'insegnante, nel secondo un'alunna.
In entrambi i film la fotografia riveste un ruolo non marginale e in entrambi sono due alunni a praticarla: in Monsieur Lazhar è il piccolo Simon a fotografare i suoi insegnanti in classe durante la lezione e in Detachment è la ragazza che si suiciderà ad usare la fotografia come unica forma di relazione con l'esterno e come forma di espressione che trova così la sua forma d'arte, via di fuga per emozioni e desideri. E' durante l'esposizione delle sue foto in cortile che lei decide di suicidarsi, l'annullamento nella massima esposizione. Anche Simon ha problemi relazionali e usa la fotografia come forma di attaccamento e di violenza. E' sulla fotografia dell'insegnante tragicamente persa che dà corpo all'immagine ossessionante del suo corpo impiccato (è stato lui a trovarla) e la rende vittima e angelo nella duplice accezione che di lei nell'immaginario rimane, materializzandosi Simon stesso come carnefice, causa involontaria di un gesto tanto radicale e violento verso chi di esso subisce le conseguenze. La fotografia ha talmente preso corpo nella nostra società da diventare canale privilegiato per il veicolo di una realtà difficile da affrontare nella sua immediatezza. In fondo la scuola stessa è mediazione della realtà, luogo dove si tenta di fornire gli strumenti per decifrare la realtà stessa o meglio per imparare a scorrere un domani al suo interno in maniera più indolore possibile essendo entrati in possesso delle chiavi d'accesso alle sue leggi di funzionamento, almeno in apparenza. Ma in questi film da luogo di protezione la scuola diventa luogo di esposizione e di violenza esposta. La scuola diventa luogo di scontro con una realtà non più mediata e allora bisogna imparare ad affrontarla.
Questa in verità è solo una visione molto parziale. Volevo porre in attenzione questi due particolari di affinità così semplici e così complessi e vedere dove la scrittura mi avrebbe portato, e forse non mi ha portato molto più avanti.
Aspetto la vostra opinione.
Wow..che commento!!Analisi molto interessante di due film, messi a confronto, che in effetti hanno molte cose in comune nella trama e che però mi sembrano enormemente diversi.
RispondiEliminaIl fatto è che Detachment non è un film sulla scuola, al massimo è un film sulla scuola americana, figlio di un'idea estetica del cinema vecchia di dieci anni, secondo me. Infatti l'unico aspetto che può dirsi superiore a Monsieur Lazhar è il montaggio, più ricercato, espressionistico, a volte un tantino troppo esibito, per non parlare poi della regia, fastidiosissima. Unica perla la prova d'attore di Adrien Brody proprio non male.
Il fatto è che si tratta di uno di quei film hollywoodiani che usano la scuola come ambiente privilegiato per trattare delle mille problematiche sociali della periferia americana, in questo niente di male, ma si finisce per trasformare ogni personaggio in una caricatura: il professore sociopatico, la bulimica darkettona e masochista, i compagni neri casinisti, la ragazzina prostituta, il vecchio prof fuori dagli schemi però buono, la psicologa che ha interiorizzato troppo i problemi dei ragazzi, tutto all'interno di una scuola che ovviamente sta per chiudere. Come viene ripreso tutto ciò? Ma ovvio! Attraverso un paesaggio asettico e per metà notturno, inquadrato in mille stacchi e continue messe a fuoco e perdite di fuoco. Mi pare perlomeno eccessivo.
Il parallelismo che fai tra la fotografia e la scuola, mi piace molto, anche se forse è un tantino forzato. Secondo me l'idea che sta alla base di questa scelta in tutti e due i film è quella che personalità difficili hanno bisogno di strumenti di mediazione per entrare in relazione ed esprimersi. Niente più che questo credo, ma in Monsieur Lazhar, tutto ciò è usato più sottilmente e con maggior efficacia (in poche parole non te lo sbattono in faccia con un cartellone inquietante di collage folli e pseudo artistici). Hanno pensato alla fotografia perché è visibile e contemporanea e rimanda al problema del punto di vista, dell'interpretazione, della schermatura, ma nessuno dei due film in questo senso è andato molto a fondo. Non era quello il tema. Al massimo si può affermare che in Monsieur Lazhar è interessante la scelta per cui è l'insegnante a donare la macchina fotografica a Simon, è lei che in altre parole lo rende carnefice, lo responsabilizza, gli dà gli strumenti, forse in questo senso è paragonabile alla scuola. Forse il problema della violenza è il problema della assunzione della volontà propria, quindi del punto di vista unico come per un fotografo. Un insegnante, la scuola, ti consegna attraverso l'istruzione e l'educazione gli strumenti e il modello dell'assunzione della volontà.
Però è una forzatura d'interpretazione e poi nel film il meccanismo è ribaltato ed estremizzato, se la volontà totalizzante è solo quella di chi si suicida. Insomma alla fin fine mi restano solo un sacco di interrogativi.
P.s. scusa le lungaggini! ;P
Dicono che avere le domande sia avere le uniche risposte possibili ;-)
RispondiEliminaE' vero. Detachment è un film eccessivo, dal montaggio interessante sì ma davvero troppo serrato per me, con una regia ostentata, dai primi piani ossessivi che cercano una profondità troppo esibita per essere tale. Monsieur Lazhar invece è un film dolcemente profondo e sottile in modo chiaro e piano.
Avevo dimenticato il dettaglio che è stata proprio l'insegnante a regalare la macchina fotografica a Simon...illuminante! E non credo siano forzature d'interpretazione: lo so che la fotografia non è protagonista in nessuno dei due film ma ho scritto proprio per dare risalto a un particolare che sembra marginale ma che in fondo (secondo me) non lo è. Che sia un libro o un film un'opera si dà, e sta in chi la fruisce leggerla e rintracciarne particolari magari secondari ma comunque importanti. La cosa che a me interessa è riflettere su come il nostro rapporto con le immagini, un rapporto sempre più mediato, influisca sul nostro modo di vivere la realtà. La fotografia è una mediazione che può essere uno schermo ma anche una comunicazione. E' realtà doppiata, allo stesso tempo falsa e reale, come in fondo la scuola sì.
Dicendo che il meccanismo nel film è ribaltato ed estremizzato intendi dire che l'insegnante che dovrebbe trasmettere la capacità di assunzione di volontà ed azione compie lei stessa il gesto estremo del suicidio, annullando quindi la volontà di chi subisce questo gesto?
Il vero problema qui in effetti è il problema della violenza, delle forme che essa assume e dei modi di affrontarla, sia in chi la compie sia in chi la subisce.
Come mi piace disquisire qui!