venerdì 30 marzo 2012

Un letterato vende vernici

                                          

                                                     a Johnny


Mi chiedono quale prodotto
è migliore, in queste gite
di quartiere che fanno le domeniche
sacre agli sconti

e non sento il mio odore d'ingranaggio
oliato, il rancido mio sapore
di latta, venduta vivacemente,
priva di quella ruggine salmastra

che bagnava una qualche rovina
dimenticata sulla spiaggia.

«Non ce n'è uno migliore
che soddisfi il tuo bisogno - dico -
ma puoi tornare un altro giorno
a soddisfare l'abbaglio che cerchi
nella nostra sete.

Sopravviviamo della stessa pace.»

venerdì 16 marzo 2012

Omaggio-ricordo


A un anno (dalla laurea) ancora per quelle strade perso. Molto commosso e meravigliato per quella vista che pare così naturale e così fraintesa o fraintendibile, nata pare per cercare di nominare poeticamente, cioè molto indefinitamente, la radice innocente e vitale di ciò che esiste e che pure è così vulnerabile e corruttibile, come per poter così dargli uno spazio di sopravvivenza. Parlo della poesia di Pasolini, della libertà intellettuale e emotiva che gli permetteva di scrivere una poesia su e per Marilyn Monroe e allo stesso tempo denunciare l'industria consumistica e il processo di degradamento della società contemporanea, proprio attraverso quella stessa poesia.


giovedì 8 marzo 2012

Ghirri e la fragilità della visione

Luigi Ghirri
Firenze 1986, dalla serie Paesaggio Italiano
fotografia
cm. 60 x 80
Questa foto, come altre della stessa serie, rappresenta piuttosto loquacemente la riflessione di Luigi Ghirri intorno al problema della visione. Ghirri è stato uno dei maggiori fotografi italiani e tra essi quello che più ha scritto sulla fotografia. L'immagine è fotografata in prospettiva centrale e dimostra un'intenzione vicina a quella che nel cinema è chiamata soggettiva. La differenza sostanziale che però corre tra la soggettiva cinematografica e questo modo di fotogragare è che nella soggettiva lo spettatore è immerso nella visione di un punto di vista che subisce, perché da esso è condotto a vedere, a percepire e di conseguenza a creare il mondo della visione; mentre nella foto la presenza della spettatrice che non sta facendo altro che guardare la Venere di Tiziano, pone il fruitore della foto in una dimensione della visione diversa, quasi a dire "oggettiva", egli è messo di fronte al meccanismo stesso della visone, la "vede", ne percepisce il sentimento labile della momentaneità. Come non pensare di essere immersi in una circostanza, quando tentando di guardare più in là, oltre la donna, nella curiosità che attraverso di lei, passa al quadro, forse siamo tentati di sbirciare o di chiederle gentilmente di spostarsi? Ghirri citava spesso uno stralcio di testo scritto da Pessoa per spiegare quale fosse per lui il problema della visione:

« Vedo come vedevo, ma dietro agli occhi mi vedo mentre vedo; e questo basta a oscurarmi il sole e a far diventare vecchio il verde degli alberi e a fare appassire i fiori prima che sfioriscano. Sì, una volta io appartenevo a questo luogo; oggi, ad ogni paesaggio per me nuovo ritorno straniero, ospite e pellegrino della sua presentazione, forestiero di ciò che vedo e sento, vecchio di me. Ho già visto tutto, perfino ciò che non ho mai visto e ciò che non vedrò mai. Nel mio sangue scorre perfino il più infimo dei paesaggi futuri e l'angoscia di ciò che dovrò vedere di nuovo è per me una monotonia anticipata. ».

Attraverso questa citazione, sembra che Ghirri, oltre che polemizzare sull'accumulo di immagini nella società contemporanea, stia sottoscrivendo il fatto che la visione è una cosa umana, è percezione e dunque intenzione che tende a organizzare lo spazio, a significarlo. Dunque è impossibile togliere il significato. È impossibile che possa esistere una visione in un mondo in cui nessuno guarda. Una visione originaria, il guardare primo. A meno che, ci mostra Ghirri, io non mostri la visione stessa, come se attraverso la foto si tentasse di porsi in un tempo e in uno spazio al di là del tempo e dello spazio, eppure anche in tal modo, misteriosamente al di qua, nel tempo della vita, nel suo scorrere, narrabile solo dal luogo in cui nessuna storia è possibile.


Elliott Erwitt, Madrid 1995

Così il senso della visione, seppur fragilissimo nella possibilità minima che costantemente si presenta minacciosa della sua rottura, aleggia nelle foto di Ghirri e nella foto presa a esempio, non a caso, incredibilmente per la somiglianza dei soggetti, accostata da me a questa seconda di Elliott Erwitt, famosissimo fotografo francese ma da tempo in America, per mostrare e spiegare meglio cosa si intenda per visione nelle foto di Ghirri.
Improvvisamente, in questa foto scattata al Prado, salta agli occhi il messaggio e quella magia della visione, che pure in un primo momento sentiamo agire nella nostra fruizione, scompare. È subito chiaro a cosa vuole alludere la foto, qual è il nucleo che le dà senso: mentre c'è solo una spettatrice a contemplare la Maya vestida di Goya uno stuolo di uomini analizzano minuziosamente la Maya desnuda, proprio perché nuda ovviamente. Foto arguta e ironica, piacevolissima sia nella composizione che nel soggetto è però tutt'altra cosa rispetto alla labile possibilità che la visione si mostri e si lasci liberamente cogliere. Perché? Perché assistiamo ad un messaggio, la foto vuole dare visione di un significato, come se vi fosse posta sopra una carta lucida in cui vi hanno disegnato delle frecce che evidenzino per bene la differenza tra il gruppo di uomini e la donna sola e una faccina sorridente che ci induca il riso. Ghirri fotografava nel tentativo di liberare la visione dai segni della carta lucida, non potendo eliminare la carta lucida stessa, per farlo gli venne in mente che poteva rendere quei segni soggetti della visione, quasi a neutralizzarli (come quando fotografava atlanti geografici o manifesti pubblicitari), a lasciare un senso di essenzialità, un'essenza.
In questo lavorio minuziosissimo e limpido credo si trovi più profondamente il significato di gran parte dell'Opera Aperta, come egli aveva chiamato l'intero suo lavoro.

mercoledì 7 marzo 2012

Amore di Gioia

Il nostro Bugigattolo mi sembra stia prendendo piede, abbiamo invitato alcuni amici a partecipare e forse ne arriveranno altri (chiunque volesse invitare qualcuno che conosce a partecipare può semplicemente mandarmi la sua mail, magari avvertendolo prima così non si troverà spiazzato).
Finora si è creato un clima intimo e tenero, oltre che giocoso, per questo voglio condividere con voi questa foto che ho visto poco fa e che mi ha colpito molto per la dirompente vitalità e freschezza, per una gioia di povertà e abbandono, quasi ad annullare qualcosa di tragico. Questa è la mia impressione, voi potete dire la vostra. Da quanto ho capito devono averla censurata su Fb. Allora la inserisco anche come un inno alla libertà più sorprendente e sincera, direi anche commovente, mi piace che il nostro Bugigattolo sia anche questo...una liberazione.




                     Foto che ritrare Charles Bukowski e una sua amica, Jane.

domenica 4 marzo 2012

Per le strade, tra la gente.

Qui a Bologna è impossibile sottrarsi agli omaggi per Lucio. In centro, in via d'Azeglio, c'è un'atmosfera indescrivibile che genera facili e profondi sentimentalismi. Nei pub, la sera, anche i più cinici si sciolgono e si ritrovano a cantare in coro "caro amico ti scrivo"... Ho già dedicato un post alla faccenda dal blog di Karma. Qui, nel bugigattolo che mi garantisce una salubre sobrietà, mi limito a postare una bella versione di una delle canzoni che più esprimono cosa sta accadendo a Bologna in queste ore... Per le strade, tra la gente.