giovedì 8 marzo 2012

Ghirri e la fragilità della visione

Luigi Ghirri
Firenze 1986, dalla serie Paesaggio Italiano
fotografia
cm. 60 x 80
Questa foto, come altre della stessa serie, rappresenta piuttosto loquacemente la riflessione di Luigi Ghirri intorno al problema della visione. Ghirri è stato uno dei maggiori fotografi italiani e tra essi quello che più ha scritto sulla fotografia. L'immagine è fotografata in prospettiva centrale e dimostra un'intenzione vicina a quella che nel cinema è chiamata soggettiva. La differenza sostanziale che però corre tra la soggettiva cinematografica e questo modo di fotogragare è che nella soggettiva lo spettatore è immerso nella visione di un punto di vista che subisce, perché da esso è condotto a vedere, a percepire e di conseguenza a creare il mondo della visione; mentre nella foto la presenza della spettatrice che non sta facendo altro che guardare la Venere di Tiziano, pone il fruitore della foto in una dimensione della visione diversa, quasi a dire "oggettiva", egli è messo di fronte al meccanismo stesso della visone, la "vede", ne percepisce il sentimento labile della momentaneità. Come non pensare di essere immersi in una circostanza, quando tentando di guardare più in là, oltre la donna, nella curiosità che attraverso di lei, passa al quadro, forse siamo tentati di sbirciare o di chiederle gentilmente di spostarsi? Ghirri citava spesso uno stralcio di testo scritto da Pessoa per spiegare quale fosse per lui il problema della visione:

« Vedo come vedevo, ma dietro agli occhi mi vedo mentre vedo; e questo basta a oscurarmi il sole e a far diventare vecchio il verde degli alberi e a fare appassire i fiori prima che sfioriscano. Sì, una volta io appartenevo a questo luogo; oggi, ad ogni paesaggio per me nuovo ritorno straniero, ospite e pellegrino della sua presentazione, forestiero di ciò che vedo e sento, vecchio di me. Ho già visto tutto, perfino ciò che non ho mai visto e ciò che non vedrò mai. Nel mio sangue scorre perfino il più infimo dei paesaggi futuri e l'angoscia di ciò che dovrò vedere di nuovo è per me una monotonia anticipata. ».

Attraverso questa citazione, sembra che Ghirri, oltre che polemizzare sull'accumulo di immagini nella società contemporanea, stia sottoscrivendo il fatto che la visione è una cosa umana, è percezione e dunque intenzione che tende a organizzare lo spazio, a significarlo. Dunque è impossibile togliere il significato. È impossibile che possa esistere una visione in un mondo in cui nessuno guarda. Una visione originaria, il guardare primo. A meno che, ci mostra Ghirri, io non mostri la visione stessa, come se attraverso la foto si tentasse di porsi in un tempo e in uno spazio al di là del tempo e dello spazio, eppure anche in tal modo, misteriosamente al di qua, nel tempo della vita, nel suo scorrere, narrabile solo dal luogo in cui nessuna storia è possibile.


Elliott Erwitt, Madrid 1995

Così il senso della visione, seppur fragilissimo nella possibilità minima che costantemente si presenta minacciosa della sua rottura, aleggia nelle foto di Ghirri e nella foto presa a esempio, non a caso, incredibilmente per la somiglianza dei soggetti, accostata da me a questa seconda di Elliott Erwitt, famosissimo fotografo francese ma da tempo in America, per mostrare e spiegare meglio cosa si intenda per visione nelle foto di Ghirri.
Improvvisamente, in questa foto scattata al Prado, salta agli occhi il messaggio e quella magia della visione, che pure in un primo momento sentiamo agire nella nostra fruizione, scompare. È subito chiaro a cosa vuole alludere la foto, qual è il nucleo che le dà senso: mentre c'è solo una spettatrice a contemplare la Maya vestida di Goya uno stuolo di uomini analizzano minuziosamente la Maya desnuda, proprio perché nuda ovviamente. Foto arguta e ironica, piacevolissima sia nella composizione che nel soggetto è però tutt'altra cosa rispetto alla labile possibilità che la visione si mostri e si lasci liberamente cogliere. Perché? Perché assistiamo ad un messaggio, la foto vuole dare visione di un significato, come se vi fosse posta sopra una carta lucida in cui vi hanno disegnato delle frecce che evidenzino per bene la differenza tra il gruppo di uomini e la donna sola e una faccina sorridente che ci induca il riso. Ghirri fotografava nel tentativo di liberare la visione dai segni della carta lucida, non potendo eliminare la carta lucida stessa, per farlo gli venne in mente che poteva rendere quei segni soggetti della visione, quasi a neutralizzarli (come quando fotografava atlanti geografici o manifesti pubblicitari), a lasciare un senso di essenzialità, un'essenza.
In questo lavorio minuziosissimo e limpido credo si trovi più profondamente il significato di gran parte dell'Opera Aperta, come egli aveva chiamato l'intero suo lavoro.

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