sabato 3 novembre 2012

Amour


Film: ****
Regia (Michael Haneke): ****
Attore protagonista (Jean-Louis Trintignant): ****1\2
Attrice protagonista (Emmanuelle Riva): ****
Attrice non protagonista (Isabelle Huppert): ***
Fotografia (Darius Khondji): ***
Montaggio (Nadine Muse; Monica Willi): ***

venerdì 5 ottobre 2012

Detachment vs Monsieur Lazhar

Avvertenza:
se non avete visto entrambi i film non leggete questo post.

A distanza di poco tempo sono usciti (almeno per quanto riguarda l'italia) due film sulla scuola, molto diversi tra loro. Non voglio dilungarmi ora sulle differenze qualitative tra i due che mi porterebbero forse a una vistosa bocciatura di Detachment ma scrivo per riflettere su delle caratteristiche innegabilmente convergenti: Monsieur Lazhar si apre con un suicidio e Detachment si chiude, o meglio si avvia verso la fine, con un suicidio. Nel primo caso a suicidarsi è un'insegnante, nel secondo un'alunna.
In entrambi i film la fotografia riveste un ruolo non marginale e in entrambi sono due alunni a praticarla: in Monsieur Lazhar è il piccolo Simon a fotografare i suoi insegnanti in classe durante la lezione e in Detachment è la ragazza che si suiciderà ad usare la fotografia come unica forma di relazione con l'esterno e come forma di espressione che trova così la sua forma d'arte, via di fuga per emozioni e desideri. E' durante l'esposizione delle sue foto in cortile che lei decide di suicidarsi, l'annullamento nella massima esposizione. Anche Simon ha problemi relazionali e usa la fotografia come forma di attaccamento e di violenza. E' sulla fotografia dell'insegnante tragicamente persa che dà corpo all'immagine ossessionante del suo corpo impiccato (è stato lui a trovarla) e la rende vittima e angelo nella duplice accezione che di lei nell'immaginario rimane, materializzandosi Simon stesso come carnefice, causa involontaria di un gesto tanto radicale e violento verso chi di esso subisce le conseguenze. La fotografia ha talmente preso corpo nella nostra società da diventare canale privilegiato per il veicolo di una realtà difficile da affrontare nella sua immediatezza. In fondo la scuola stessa è mediazione della realtà, luogo dove si tenta di fornire gli strumenti per decifrare la realtà stessa o meglio per imparare a scorrere un domani al suo interno in maniera più indolore possibile essendo entrati in possesso delle chiavi d'accesso alle sue leggi di funzionamento, almeno in apparenza. Ma in questi film da luogo di protezione la scuola diventa luogo di esposizione e di violenza esposta. La scuola diventa luogo di scontro con una realtà non più mediata e allora bisogna imparare ad affrontarla.
Questa in verità è solo una visione molto parziale. Volevo porre in attenzione questi due particolari di affinità così semplici e così complessi e vedere dove la scrittura mi avrebbe portato, e forse non mi ha portato molto più avanti.
Aspetto la vostra opinione.

lunedì 1 ottobre 2012

Reality






Film: *** 1/2
Regia (Matteo Garrone): ****
Attore (Aniello Arena): ***
Sceneggiatura (Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Matteo Garrone, Massimo Gaudioso): *** 1/2
Fotografia (Marco Onorato): ****
Colonna sonora (Alexandre Desplat): ****
Montaggio (Marco Spoletini): *** 1/2

Bella addormentata


Quivi comincian le dolenti note a farmisi sentire...

Film: * 1/2
Miglior attore (Toni Servillo): *** 1/2
Miglior attore non protagonista (Roberto Herlitzka): ****

E' stato il figlio





Film: ***
Regia: (Daniele Ciprì): *** 1/2
Attore (Toni Servillo): *** 1/2
Attrice non protagonista (Aurora Quattrocchi); ***
Fotografia (Daniele Cirpì): ***

L'intervallo



Film: ***
Fotografia (Luca Bigazzi): *** 1/2

Monsieur Lazhar





Film: ***
Attore: Mohammed Fellag ***

Il cavaliere oscuro - Il ritorno






Film: *** 1/2
Regia (Christopher Nolan): *** 1/2
Attore (Christian Bale): ***
Attrice (Anne Hathaway): ***
Attore non protagonista (Michael Caine): *** 1/2
Montaggio (Lee Smith): *** 1/2

sabato 22 settembre 2012

Pietà

candiderei cho min-soo migliore attrice protagonista, o lo dobbiamo fare a fine anno? chi di voi l'ha già visto?

Riepilogo proposte

Come tutti sapete, o dovreste, qualcuno ha aperto la porta del bugigattolo. Si è fermato a guardarci dentro. Un dito a grattarsi il lobo occipitale sinistro. Il serio proponimento di fare un tentativo di riordinare quello stanzino polveroso, per far spazio e conservare i vari rimasugli della quotidianità. Ma come fare?...

Alcuni di noi hanno lanciato proposte, qui ne farò una sintesi per punti, così da averla tutti sott'occhio e poterla commentare. Se sarò dimentico di qualcosa, avvisatemi che tanto i post sono sempre modificabili dall'autore e così posso cambiare il testo, farne aggiunte e correggere i refusi.


Proposte:

1) RACCONTO. Scrivere a più mani una storia con tutti i mezzi a disposizione dunque anche attraverso video, musica\suoni, immagini, foto, link intertestuali oltre che la scrittura testuale ovviamente e chi più ne ha ne metta.

- L'idea non prevede un tema è a libera evoluzione, ma prevede una "cornice": novella ambientata nel passato d'Italia. Qualcuno parte e si ferma dove vuole, in questo modo ha già creato una traccia, che viene ripresa come si vuole anche ribaltandola, regola fissa è che ci siano connessioni tra i vari pezzi in altre parole che la storia abbia una sua continuità, più che un'unità.


2) FESTIVAL DEL CINEMA. (Io ho proposto allegramente in nome di Cinema Bugi Awards, ma insomma si può pure cambiar nome) Si tratta di un vero e proprio festival cinematografico, con un premio (per ora virtuale, ma magari in futuro un oggetto in carta pesta si può produrre) o meglio una serie di premi da consegnare previa nomination. Seguendo le indicazioni di Galehaut, si svolgerebbe in questo modo:

- I Films in gara sono quelli della attuale (cioè di quest'anno) stagione che noi visioniamo, senza obblighi. Il discrimine per entrare a far parte della gara sarà ricevere almeno 3 voti da 3 diverse persone durante l'anno.

- I voti possono riguardare queste categorie:
Miglior film
Miglior regia
Miglior sceneggiatura
Miglior attore protagonista e\o Miglior attrice protagonista
Miglior attore non protagonista e\o Miglior attrice non protagonista
Miglior fotografia
Miglior montaggio
Miglior scenografia e costumi

- Nei post di votazione si è liberi di inserire una recensione o meno. Chi inserisce il post del film decide quali categorie votare, di conseguenza chi ha intenzione di votare successivamente (nei commenti) deve votare solo per ognuna di quelle categorie (non aggiungerne, ne toglierne). Ad ogni modo il voto sarà conteggiato come tale e quindi porterà alla possibilità di entrare in gara in quella categoria per il film o l'attore, etc.

- Si vota da 0 a 5 con i mezzi, questo per permettere una maggiore scrematura dei votati al momento delle nomination che si decidono in base alla media dei voti ottenuti, i primi 3 candidati con una media più alta passano alla nomination. Le nomination si decideranno a fine stagione (a Giugno?).


3) SUGGERIMENTI CULTURALI. (bisogna pensare a un titolo, avevo in mente qualcosa tipo: "Stroncature di manica larga", ma non so.) In questo caso copio e incollo la proposta di Anice, che mi sembra molto chiara ed essenziale:

- Rispettando una cadenza di dieci giorni. E' anche interessante ogni dieci giorni (o meno) chiedersi: che cosa di molto bello, di molto brutto o mediocre posso condividere, sconsigliare, elargire, toccare con gli occhi?


4) IL GIOCO DEL MONDO?. (Ho lasciato il punto interrogativo perché mi piaceva così, mi sembra un titolo più adatto, poi ditemi voi) Proposto da Astrid, se ho capito bene, si tratta di un album di foto (ma credo non sia una regola ferrea), quindi parliamo in modo generico di un album, che raccoglie ciò che vogliamo condividere ma attraverso una testimonianza nella vita vissuta. In altre parole, per semplificare, ad esempio: se qualcuno ha da scrivere qualcosa piuttosto che scriverlo direttamente sul blog, lo scrive in un luogo di passaggio e ne fa una foto con o senza pubblico, come vuole, per testimoniare questo proto-evento, la testimonianza si pubblica sul blog.
Dunque si tratta di un album di testimonianze di vita vissuta che vogliamo condividere, di qualsiasi tipo o forma, dallo strettamente realistico e quotidiano al fantastico-irreale ed eterno.


Spero di essere stato chiaro e preciso, forse non sono stato troppo sintetico, fatevene una ragione.
Ora per prima cosa, se ho scritto baggianate fatemelo presente. Per seconda si deve ognuno dare la propria opinione, capire cosa facciamo di queste proposte, se vogliamo modificarle, tenerle tutte, etc.
Mi sembrava utile avere tutto qui, sottomano.

...

giovedì 13 settembre 2012

Da "Perse e Brade" di Mario Luzi




Quanto restava d'un corruccio il vento lo rapiva,
niente più che un sorriso volava sui disastri,
da stella a stella il giorno andava incontro al suo domani,
il tempo sempre calmo era sempre promesso alla tua gioia:
questo giuoco fedele l'eterno tollerava.
Non c'era paradiso se non mi traluceva dall'angoscia,
quiete altrove non era dall'azzurra Procellaria,
di là dalla burrasca gli animali intuivano la luna,
l'ora nell'ora, i cieli rinascevano nei cieli:
questo giuoco felice la morte sopportava.







(Luzi. L'opera poetica, I Meridiani, ed. Mondadori, Milano, 2010, p. 1183)

lunedì 7 maggio 2012

Un letterato vende vernici - seconda versione

                                                                                          a Johnny

Mi chiedono quale prodotto
è migliore, in queste gite
di quartiere che fanno le domeniche
sacre agli sconti

e non sento l'odore d'ingranaggio
oliato, il rancido sapore mio
di latta, venduta vivacemente,
priva di quell'infanzia salmastra

ruggine bagnata di una qualche rovina
dimenticata sulla spiaggia.

Posto un codice a barre risoluto su uno scaffale dove il peso è già
nella mano che anticipa ciò che accade, più commerciale spronato
a contare dal centro ogni cifra come un passo comune, accordato.

"Non ce n'è uno migliore
che soddisfi il tuo bisogno - dico -
ma puoi tornare un altro giorno
a soddisfare l'abbaglio che cerchi
nella nostra sete.

Sopravviviamo della stessa pace."

domenica 6 maggio 2012

Sogno

E' sempre lo stesso sogno, o meglio sono sogni diversi ma con un'unica inquietante costante. Mastico un chewing gum. Nei primi sogni in cui lo facevo ne avevo la bocca letteralmente piena, impastata e allora provavo a levarlo con le mani ma era sempre di più, con la bocca sempre piena, più ne toglievo più ce n'era. Poi è diventata una normale gomma da masticare tanto che ormai ora in sogno la riconosco e mi dico "stavolta non succederà come le altre volte, quelle erano un sogno ma stavolta no, stavolta è gomma normale, basta sputarla". E lo faccio, la sputo, la bocca si libera. Ma forse no. Ho un'altra gomma in bocca, in realtà è sempre la stessa, c'era un altro pezzo che avevo dimenticato di togliere. Allora lo tolgo ma poi ce n'è un altro e un altro ancora e così via all'infinito fino a quando mi sveglio, affannata e felice di avere finalmente la bocca vuota e libera. E mi chiedo se la sognerò ancora, questa gomma che ancora non riesco a sputare del tutto.

sabato 5 maggio 2012

cronachette (ovvero: di Bologna e di altre storie)



Sabato sera a Corticella vecchia è stato come quando sforni il pane e ne senti l'odore; ti entra dolcemente nelle narici come se fosse la prima volta.
O come quando vedi il mare dopo tanto tempo che sei sulla terra, e viceversa.
Sabato sera era casa.
Eravamo nel cortile di un falegname, con l'aia di brecciolino e i fiori di lillà. C'erano le sedie di plastica e i gerani fioriti sul balcone. C'era un film che scorreva lento sul muro della sua falegnameria, e persone infreddolite chiuse nelle sedie.
Era famiglia e riposo dopo una lunga giornata.
Gli occhi del falegname erano vivi, sua moglie non c'era più ma lui aveva guadagnato almeno una trentina di figli.


Domenica invece fin dalla mattina il vento secco ci fa scivolare, ci fa gridare e perdere la voce.
Ci sono i vecchietti dell'ANPI e la loro pasta alla salsiccia, c'è tutto. Tutto quello che puoi volere da una domenica a bologna: zuppa, vino, musica, amici, risate, begli occhi, belle mani, capoeristi, samba, banda.
Domenica di corse, di abbracci, di sole e nuvole, di occhi.
Domenica di fiammiferi, di calore tra pancia e polmoni, di scambi di figurine.

Belgrado è un posto pieno di fantasmi, memorie e macerie.
E' pieno di gomme per cancellare che oscurano un passato recentissimo, è pieno di silenzi. E' un posto segreto.
I giardini delle case sorgono tra cemento armato e finestre coi panni stesi. Sorgono dietro portoni, come a bologna. Tu ne spingi uno e sei in un orto, in una scatola magica, in un fiorire di piante e annaffiatoi.
Belgrado non parla molto, ma canta e beve.
Se vai al mercato i gitani non sono diffidenti, ti offrono da bere e da mangiare, ma i serbi stanno alla larga e osservano.
Se vai sul fiume la sera, ci sono piccole barche che suonano musica balcanica, e tu puoi bere e fumare e cantare al karaoke.
La prima sera eravamo in un bar, la birra chiara scorreva nelle gole a cifre modiche, si parlava tutti un inglese stentato e si rideva di cose che ora non ricordo. Tre metri più in là stava consumandosi una vera festa di matrimonio. Violino tamburello e canti e balli in cerchio. Era tutto meno tzigano di come te lo immagini nei sogni da cartolina balcanica. Ci hanno invitati a mangiare e bere con loro, e le birre si sono trasformate in rakja, in grappa, e le bocche si sono riempite di carne, patate, pane, la dieta base per dieci giorni.
Compartir è dividere il tutto in parti disuguali e fregartene se ti capita il pezzo più piccolo, sopravviverai lo stesso.

A Belgrado ci scontriamo con l'ottusità dei militari e raccontiamo agli altri di bologna cantando bella ciao e mostrando un video della par tot.
Parliamo di arte urbana e di street art, e la cultura mi sembra di nuovo, per un momento labilissimo, un atto politico.
Ulivi scrive nel 1944 che il bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi da ogni manifestazione politica.
La strada mi ha rapita. Il balcano mi ha colpita come uno sputazzo in fronte.
L'ultimo giorno c'è un vento freddo, ci scaldiamo con le mani in tasca e nei bar con il caffè turco.
Belgrado non fa mostra di sè. E come potrebbe, del resto? La cultura ufficiale è ferma da dieci anni, i musei sono chiusi, e le biblioteche funzionano a singhiozzo.
Cerco regali per l'Italia, e a parte comprare una stecca di sigarette, non trovo traccia nè di cartoline nè di palle con la neve dentro.
Belgrado è tutta pieni e vuoti. Non esiste un centro concluso, e la periferia si stende nel nulla della pianura.
Lungo Dalmatinska Street c'è un calzolaio. Dentro ci trovo una donna che aspetta che le sue scarpe vengano riparate. E' scalza, indossa un abito verde e sorride. Ha un filo di perle attorno al collo e quell'aria un pò austera di chi ha visto e taciuto tanto. La donna austera in verde aspetta le sue scarpe, e a me sembra un'attesa bellissima, uno spostamento malinconico di tempi e ticchettii. Non si inganna gli occhi con un libro, non dice niente. Soltanto, aspetta, e si gode il tempo.
So di aver ricordato il Messico, e le lunghissime attese che spiovesse per rimetterci in marcia. Ci sedevamo da qualche parte e zitti guardavamo la pioggia senza sbuffare, lasciandocela scivolare addosso senza che ci incollasse un sentimento metereopatico. Non era un imprevisto seccante, era solo un imprevisto. Bastava aspettare.
Un pò come fai nel traffico di Palermo, ma in modo molto più composto.
Come direbbe la santa informazione "tutto il mondo è paese". Chi più chi meno.

giovedì 3 maggio 2012

Era de maggio

E' già maggio. Come era già febbraio, novembre, luglio, come già bisognava partire da Parigi, come già era Natale e i primi tre mesi fuori erano andati, ero ancora vivo, come già era fine settembre e bisognava partire per Parigi e lasciarsi un po'. E' sempre già oggi. E oggi è già passato il fine settimana (o l'inizio settimana) e di nuovo mi chiudo in biblioteca, come prima e a fare cose molto più noiose di prima: la lettura con traduzione delle insopportabili Epistole di Dante. Quindi? Quindi gnente. Sono passati troppo velocemente questi giorni chiari passati con voi, questo tempo bello, pieno e felice, di scoperte e riscoperte, di mangiate prelibate, di cibi cotti ma soprattutto fritti, di colazioni fuori al balcone con l'aria fresca e mattutina di un giorno che sarà caldo, e che il bianchiccio umido e afoso, profumato di ginestre vere e finte, anticipa preparandosi ad esplodere in un trionfo d'oro e azzurro. Ieri io e Fabiano eravamo a Gradola e ci siamo addormentati al sole. Ci siamo svegliati e il mare blu brillava. Per un attimo è stata estate.

venerdì 13 aprile 2012

La jetée, dilatazione di un film

La costruzione di un luogo è un'esperienza primaria di ambiguità. Sembra manifestare sempre il dualismo contraddittorio tra la libertà ottenuta attraverso la formazione di uno spazio vivibile, formazione di limiti, circoscrizione e la libertà propria dello spazio illimitato, perpetuamente calpestabile verso l'orizzonte di un lungo procedere. È tale l'originarietà dell'esperienza della costruzione di un luogo che ad essa è strettamente legata l'esperienza religiosa, il "templum" era propriamente una limitazione dello spazio: gli àuguri attraverso il lituo delimitavano uno spazio, lo "spazio del cielo" significato di "templum", da cui osservando il volo degli uccelli e interpretandolo profetizzavano tempi propizi o nefasti. Da qui viene il termine "contemplare": cum-templum, dove "cum" è particella preposizionale di mezzo, in parole semplici "ciò che osservo attraverso (per mezzo dello) lo spazio del cielo". Il fatto che la particella sia di mezzo narra dell'azione della costruzione, racconta cioè più a fondo di come sia per mezzo del fatto che si è costruito un luogo, lo spazio del cielo e non semplicemente come fosse una particella di luogo che si tradurrebbe "ciò che osservo nello (all'interno) dello spazio del cielo".
Nel 1962, Chris Marker artista indipendente del mondo cinematografico francese, gira un mediometraggio di circa 25 min. che intitola La jetée. Il cinema e la fotografia erano state inventate nel secolo precedente, entrambe avevano parzialmente a che fare con la costruzione di un luogo attraverso la limitazione dello spazio che era propria dell'inquadratura. A proposito di questo, una decina d'anni dopo La jetée, suggestionato da un racconto di Julio Cortàzar, Michelangelo Antonioni gira Blow up, storia di un ingrandimento fotografico che apre lo spazio di un racconto giallo dove la dimensione temporale pare rovesciarsi proprio a causa di una fessura, una voragine aperta tra due lembi di tempo che si toccano come fosse un anello di Moebius, rovesciando di conseguenza i principi di causa ed effetto. In La jetée era successo lo stesso, eppure non era solo questo, la deformazione del tempo della narrazione o dei suoi principi aveva compromesso anche il tempo principale su cui essa si poggia, il tempo delle immagini sovrimpresse nella pellicola, il tempo dei fotogrammi.
La storia adottata da una voce narrante per recuperare l'agilità della narrazione è però fossilizzata nei fotogrammi, rappresa all'immagine, diviene quasi completamente un fotoromanzo. Ma non è solo questo, sembra che il film sia al di là, sia una risonanza che può esistere solo nella costruzione di un luogo che dia avvio alla contemplazione. Ma alla contemplazione di cosa e da parte di chi? Si potrebbe parlare di più piani e più soggetti, ma credo prima di tutto si tratti della contemplazione di un personaggio, che abita per il tempo del film nello spettatore, della propria storia.
Il film appare, come per le foto di Ghirri di cui si è parlato qualche post fa, anche come una riflessione sulla visione e si potrebbe dire aridamente con accademia trattarsi di metacinematografia.
Ma poi, bruciando in un sol colpo ogni manuale o spicciola definizione, anche le mie, tra i 35'' e i 55'' della terza parte che inserirò in questo post, si assiste a una delle sequenze più toccanti e limpidamente straordinarie del cinema di sempre.
Se la tecnica, la sintassi, la scrittura possono contenere i riflessi delle emozioni, trasformandosi in emozioni esse stesse, allora questo è il caso. Un film destrutturato e fissato in un montaggio di fotogrammi consequenziali, sull'immagine di un volto amato recupera il tempo e la vita e il montaggio si fa serrato aiutato dalla musica nella climax ascendente, i fotogrammi sempre più rapidi e improvvisamente come si trattasse di una qualsiasi pellicola che scorre a permetterci l'illusione visiva di un movimento naturale assistiamo a un piccolo gesto di quel viso, movimenti quasi impercettibili, per pochi secondi, che contengono tutta la forza e la drammaticità e tutta l'ineffabilità espressa dal cinema di una visione, di una contemplazione.

Vi lascio alla vostra visione, sperando vi piaccia.








martedì 3 aprile 2012

Bastoncini

E' un semplice bastoncino. Di legno. Lungo circa 50 cm. Quadrato di quattro lati larghi circa 5 mm. Sarà stata la semplice e spontanea precisione della sua forma, il suo essere di legno, il suo essere metafora.
A coppie abbiamo retto un solo bastoncino, da indice a indice, in equilibrio stabile quanto precario. Gli occhi chiusi, la musica.
Un semplice quanto nuovo esercizio teatrale. Non pensavo ci sarebbe stato un oggetto così semplice da farmene innamorare, non pensavo che un esercizio teatrale potesse ancora stupirmi così.
Il gioco era muoversi nella musica e ad occhi chiusi senza far cadere il bastoncino. Facile ma non troppo. Questione di profondo e intenso ascolto, equilibrio, armonia.
Le coppie poi sono diventate trii e la questione si è fatta più complicata; complessa quando i trii sono stati riunificati in un unico gruppo. Braccia protese unite da bastoncini. Musica lenta accompagnata dal rumore dei bastoncini inesorabilmente caduti.
I movimenti che si possono fare in coppia non si possono fare in un trio e vanno di nuovo ripensati man mano che il gruppo si allarga. Le mie possibilità possono non essere quelle dell'altro. Posso condurre o posso farmi guidare, basta ascoltare.
Il bastoncino è il legame, è il mezzo, è un po' di me e un po' di te, è la relazione. Ed è il laboratorio.
Il bastoncino cade, ma non si rompe. Se mi muovo troppo velocemente chi lo tiene con me non riesce a seguirmi, non riesce a soddisfare le mie aspettative e si sente frustrato, ma è l'inadeguatezza della richiesta a provocare la caduta e non l'inadeguatezza di chi tenta di stare al passo.
Il bastoncino cade, ma non si rompe e io posso raccoglierlo. Posso mettermi in gioco quante voglie voglio, come lo voglio e finchè lo voglio.
Il bastoncino cade più e più volte ma se io me le dimentico, le volte in cui è caduto, non mi arrabbierò. Se nessuno mi sta a guardare continuo a giocare. E allora il presente si allarga e dimentica passato e futuro, in un semplice bastoncino.

venerdì 30 marzo 2012

Un letterato vende vernici

                                          

                                                     a Johnny


Mi chiedono quale prodotto
è migliore, in queste gite
di quartiere che fanno le domeniche
sacre agli sconti

e non sento il mio odore d'ingranaggio
oliato, il rancido mio sapore
di latta, venduta vivacemente,
priva di quella ruggine salmastra

che bagnava una qualche rovina
dimenticata sulla spiaggia.

«Non ce n'è uno migliore
che soddisfi il tuo bisogno - dico -
ma puoi tornare un altro giorno
a soddisfare l'abbaglio che cerchi
nella nostra sete.

Sopravviviamo della stessa pace.»

venerdì 16 marzo 2012

Omaggio-ricordo


A un anno (dalla laurea) ancora per quelle strade perso. Molto commosso e meravigliato per quella vista che pare così naturale e così fraintesa o fraintendibile, nata pare per cercare di nominare poeticamente, cioè molto indefinitamente, la radice innocente e vitale di ciò che esiste e che pure è così vulnerabile e corruttibile, come per poter così dargli uno spazio di sopravvivenza. Parlo della poesia di Pasolini, della libertà intellettuale e emotiva che gli permetteva di scrivere una poesia su e per Marilyn Monroe e allo stesso tempo denunciare l'industria consumistica e il processo di degradamento della società contemporanea, proprio attraverso quella stessa poesia.


giovedì 8 marzo 2012

Ghirri e la fragilità della visione

Luigi Ghirri
Firenze 1986, dalla serie Paesaggio Italiano
fotografia
cm. 60 x 80
Questa foto, come altre della stessa serie, rappresenta piuttosto loquacemente la riflessione di Luigi Ghirri intorno al problema della visione. Ghirri è stato uno dei maggiori fotografi italiani e tra essi quello che più ha scritto sulla fotografia. L'immagine è fotografata in prospettiva centrale e dimostra un'intenzione vicina a quella che nel cinema è chiamata soggettiva. La differenza sostanziale che però corre tra la soggettiva cinematografica e questo modo di fotogragare è che nella soggettiva lo spettatore è immerso nella visione di un punto di vista che subisce, perché da esso è condotto a vedere, a percepire e di conseguenza a creare il mondo della visione; mentre nella foto la presenza della spettatrice che non sta facendo altro che guardare la Venere di Tiziano, pone il fruitore della foto in una dimensione della visione diversa, quasi a dire "oggettiva", egli è messo di fronte al meccanismo stesso della visone, la "vede", ne percepisce il sentimento labile della momentaneità. Come non pensare di essere immersi in una circostanza, quando tentando di guardare più in là, oltre la donna, nella curiosità che attraverso di lei, passa al quadro, forse siamo tentati di sbirciare o di chiederle gentilmente di spostarsi? Ghirri citava spesso uno stralcio di testo scritto da Pessoa per spiegare quale fosse per lui il problema della visione:

« Vedo come vedevo, ma dietro agli occhi mi vedo mentre vedo; e questo basta a oscurarmi il sole e a far diventare vecchio il verde degli alberi e a fare appassire i fiori prima che sfioriscano. Sì, una volta io appartenevo a questo luogo; oggi, ad ogni paesaggio per me nuovo ritorno straniero, ospite e pellegrino della sua presentazione, forestiero di ciò che vedo e sento, vecchio di me. Ho già visto tutto, perfino ciò che non ho mai visto e ciò che non vedrò mai. Nel mio sangue scorre perfino il più infimo dei paesaggi futuri e l'angoscia di ciò che dovrò vedere di nuovo è per me una monotonia anticipata. ».

Attraverso questa citazione, sembra che Ghirri, oltre che polemizzare sull'accumulo di immagini nella società contemporanea, stia sottoscrivendo il fatto che la visione è una cosa umana, è percezione e dunque intenzione che tende a organizzare lo spazio, a significarlo. Dunque è impossibile togliere il significato. È impossibile che possa esistere una visione in un mondo in cui nessuno guarda. Una visione originaria, il guardare primo. A meno che, ci mostra Ghirri, io non mostri la visione stessa, come se attraverso la foto si tentasse di porsi in un tempo e in uno spazio al di là del tempo e dello spazio, eppure anche in tal modo, misteriosamente al di qua, nel tempo della vita, nel suo scorrere, narrabile solo dal luogo in cui nessuna storia è possibile.


Elliott Erwitt, Madrid 1995

Così il senso della visione, seppur fragilissimo nella possibilità minima che costantemente si presenta minacciosa della sua rottura, aleggia nelle foto di Ghirri e nella foto presa a esempio, non a caso, incredibilmente per la somiglianza dei soggetti, accostata da me a questa seconda di Elliott Erwitt, famosissimo fotografo francese ma da tempo in America, per mostrare e spiegare meglio cosa si intenda per visione nelle foto di Ghirri.
Improvvisamente, in questa foto scattata al Prado, salta agli occhi il messaggio e quella magia della visione, che pure in un primo momento sentiamo agire nella nostra fruizione, scompare. È subito chiaro a cosa vuole alludere la foto, qual è il nucleo che le dà senso: mentre c'è solo una spettatrice a contemplare la Maya vestida di Goya uno stuolo di uomini analizzano minuziosamente la Maya desnuda, proprio perché nuda ovviamente. Foto arguta e ironica, piacevolissima sia nella composizione che nel soggetto è però tutt'altra cosa rispetto alla labile possibilità che la visione si mostri e si lasci liberamente cogliere. Perché? Perché assistiamo ad un messaggio, la foto vuole dare visione di un significato, come se vi fosse posta sopra una carta lucida in cui vi hanno disegnato delle frecce che evidenzino per bene la differenza tra il gruppo di uomini e la donna sola e una faccina sorridente che ci induca il riso. Ghirri fotografava nel tentativo di liberare la visione dai segni della carta lucida, non potendo eliminare la carta lucida stessa, per farlo gli venne in mente che poteva rendere quei segni soggetti della visione, quasi a neutralizzarli (come quando fotografava atlanti geografici o manifesti pubblicitari), a lasciare un senso di essenzialità, un'essenza.
In questo lavorio minuziosissimo e limpido credo si trovi più profondamente il significato di gran parte dell'Opera Aperta, come egli aveva chiamato l'intero suo lavoro.

mercoledì 7 marzo 2012

Amore di Gioia

Il nostro Bugigattolo mi sembra stia prendendo piede, abbiamo invitato alcuni amici a partecipare e forse ne arriveranno altri (chiunque volesse invitare qualcuno che conosce a partecipare può semplicemente mandarmi la sua mail, magari avvertendolo prima così non si troverà spiazzato).
Finora si è creato un clima intimo e tenero, oltre che giocoso, per questo voglio condividere con voi questa foto che ho visto poco fa e che mi ha colpito molto per la dirompente vitalità e freschezza, per una gioia di povertà e abbandono, quasi ad annullare qualcosa di tragico. Questa è la mia impressione, voi potete dire la vostra. Da quanto ho capito devono averla censurata su Fb. Allora la inserisco anche come un inno alla libertà più sorprendente e sincera, direi anche commovente, mi piace che il nostro Bugigattolo sia anche questo...una liberazione.




                     Foto che ritrare Charles Bukowski e una sua amica, Jane.

domenica 4 marzo 2012

Per le strade, tra la gente.

Qui a Bologna è impossibile sottrarsi agli omaggi per Lucio. In centro, in via d'Azeglio, c'è un'atmosfera indescrivibile che genera facili e profondi sentimentalismi. Nei pub, la sera, anche i più cinici si sciolgono e si ritrovano a cantare in coro "caro amico ti scrivo"... Ho già dedicato un post alla faccenda dal blog di Karma. Qui, nel bugigattolo che mi garantisce una salubre sobrietà, mi limito a postare una bella versione di una delle canzoni che più esprimono cosa sta accadendo a Bologna in queste ore... Per le strade, tra la gente.

mercoledì 29 febbraio 2012

Emicrania


Il principio si rese esplicito solo dopo che l’emicrania lancinante si attenuò, lasciando un vago indolenzimento su tutta l’arcata superiore dei denti, più intensa a dirla tutta presso le articolazioni mascellari che presso gli incisivi, sui quali quasi non si avvertiva. Prima di sentirsi gratificato dal poter continuare senza intoppi, si mise a pensare al dolore, cosa che non era solito fare a quel modo: lo assunse a oggetto di analisi, per prima cosa ne sperimentava la percezione. Essa doveva essere descritta, il modo migliore che trovò di farlo fu quello di accostarla ad una immagine vicina, che per analogia avrebbe certamente prodotto una sensazione di riconoscimento. Fu per tale proposito probabilmente che si scoprì ad immaginare una corda che veniva tesa fino a cedere, credette attraverso di essa di aver trovato la soluzione, ergo il dolore era come quello che avrebbe provato una corda tesa fin alla rottura, senonché egli non conosceva affatto quale fosse la sensazione di una corda tesa fino alla rottura, ma era certo che i suoi denti dovevano assomigliarle più di quanto l’aspetto esterno potesse mostrare. Qualcuno dovette fargli notare che non era poi così bizzarra quell’immagine, né estranea a quello che in effetti succedeva all’interno della sua bocca. Costui dicendolo dondolava di tanto in tanto la testa e non riusciva a non proferire parola senza storcere altrettanto alternatamente il labbro inferiore come in una smorfia. Doveva essere questi soggetto a quelle strane forme di tic che fanno dell’espressività del volto umano tanto utile alla comunicazione il loro proprio circo, un palcoscenico di marionette, un teatro di saltimbanchi. Questo certo non servì a giustificare l’improvvisa risata che a quelle parole, così sensibili agli altrui crucci, rovinò dal volto contratto di chi come lui non avrebbe trovato inoltre altro sollievo al terribile dolor di denti. Eccolo due volte colpevole, per l’indiscrezione incontrollata dei suoi modi e per l’ingratitudine egoista della sua condotta morale. Come poteva un uomo all'apparenza così cauto e riflessivo avere esplosioni di tale puerile indelicatezza era una delle ennesime domande che dal di fuori, pur conoscendo attentamente i risvolti dei fatti, lei si sarebbe posta se ciò non l'avesse messa dinnanzi all'evidenza della sua posizione:  il principio della loro storia, senza molti scrupoli verso se stessa, la vedeva compartecipe e miope abbandonarsi e non solo. Dovette accogliere le circostanze come fatali infine e ciò in effetti le faceva di gran lunga comodo, poiché per l'appunto lei oramai era già compromessa: legata da altro che affetto a colui che non solo con quei modi aveva mostrato una immaturità di sentimenti troppo palese, secondo le sue solite linee di giudizio, già da molto tempo, ma che anche le risultava, qualora gentile e amorevole, insopportabilmente sano.
All’interno della arcata superiore mascellare, presso il tessuto molle in cui i denti sono incastonati, si trovano i nervi preposti alla contrazione e al rilasciamento dell’intera struttura, essi sono come corde elastiche e accumulano tensioni che potrebbero portare a produrre dolore...”. La serietà delle parole e la precisione della spiegazione non produssero l’effetto desiderato, ossia che il soprassedere alla mancanza di rispetto con decorosa noncuranza educasse il cialtrone inspirandogli imbarazzo prima e consapevolezza della complessità dei ruoli rispetto alle proprie azioni, tutto all’opposto egli cominciò a sobbalzare quasi singhiozzando, barcollando come se non mancasse altro per le grosse risate miste a lacrimoni. Di lì a poco lui tentò malamente di consolidare quella complicità che credeva senza dubbio essere presente in quello scambio, così umoristico ai suoi occhi, del resto da sempre piluccava piacevolmente come fossero gustosi acini i lancinanti cinismi di lei, totalmente ignorante e vago delle freddure se ne stava in quell'aria glaciale come a un banchetto: illanguidito e supino. Con tal animo le si accostò mostrando uno sguardo a un tempo avido e grondante, profondamente convinto fino al corpo della compiaciuta debolezza di lei nei suoi confronti, le sfiorò conseguentemente con le labbra inumidite la peluria bionda dietro la nuca, che immediatamente si drizzò di stizza facendo da contorno all'irrigidimento di lei. Ma non profferì parola, piuttosto sollevò imbarazzata gli occhi sul viso ancora contratto dell'altro, aveva la sensazione che fosse offeso o in qualche modo si sentisse colpevole, forse a causa della propria severità essendo lui più acuto, questo la immalinconì e fu gradevole perché la malinconia stranamente piuttosto che isolarla la faceva sentire più vicina a quell'uomo crucciato e anche per questo nient'affatto sconosciuto.
L'emicrania tornò immancabilmente, come tutte le volte che prendeva l'incauta decisione di concentrarsi su un qualche contingente argomento subito dopo l'incerto sentore di sollievo e liberazione dalla prigionia cerebrale, forse un inciampo della memoria breve che non gli rendesse palese il bisogno di distensione, un incaponirsi. Come se non bastasse, quei due: il bizzarro uomo che aveva dimostrato allegramente cortesia nell'interessarsi ai suoi vaneggiamenti ad alta voce e quella donna saccente che come estrapolando dal cilindro un bel refertino aveva tentato di umiliarlo pronunciando quella frase di così stridula sprezzante ironia, non la smettevano di rumoreggiare, lì nella sala d'aspetto, tubando con i loro beccucci di coppietta. Chiuse le palpebre, poggiò nella sedia alla sua destra il quaderno dei calcoli che aveva portato con sé e sospirò pensando a quell'idea, così martellante di emicrania, che lo angosciava: sapeva che senza l'opera risolutrice delle medicine non sarebbe riuscito a portare a termine il progetto e benché poco alla volta i principi delle operazioni saltassero fuori, avevano le sembianze di folli pupazzi atti a stordirlo, portandosi dietro la beffa e un pesante fardello di cefalee... (forse continua)

giovedì 23 febbraio 2012

Appendice omaggio didascalica a: Parole sgorgate in una casa d'abruzzo




P.S. Avrei commentato così, ma non conoscendo il modo di inserire video nei commenti ho creato un altro post.

martedì 21 febbraio 2012

Parole sgorgate in una casa d'abruzzo

Scoppietta. In maniera difformemente disordinata, con uno scoppio improvviso, caldo. Ha un sapore che non tocca la lingua, non tocca la pelle ma entra sottilmente e sa di una naturalità antica. E' popolarmente banale parlare di autenticità ma il pensiero si posa là, in un gesto ripetuto da millenni come quello di accendere il fuoco di un camino. Il calore che dà tende al generale ma rimane particolare, bisogna trovare la giusta distanza per goderne in abbondanza. E fuori i monti coronano il mare e sembra che questa terra dove tutto l'anno i panni volano sui fili e lasciano che la pelle si nutra di quel vento che soffia pressochè costantemente sembri più vera. Benchè le strade siano d'asfalto e i muri di cemento gli elementi stanno qui a ricordare l'autenticità. L'apparenza di uno sfarzoso sfoggio guida la lingua profonda di un apparato ornamentale ma le viscere presenziano sotto i colori forti. E la vastità dell'orizzonte si spande a rammentarti che non c'è confine tra il cielo e il mare, che le profondità sono fatte d'azzurro e di rosa, che il vento soffia ma le pietre restano. Il fuoco soffia e viene soffiato, le braci restano più a lungo e il calore donato resta, sottopelle, vivo.

sabato 18 febbraio 2012

Più satura che xenia

Tv

C'è una lieve ironia
tra l'arca e il divano,
Noé doveva averne uno.


P.s. dedicata un poco anche a Sanremo...

lunedì 13 febbraio 2012

Arcadia crepuscolare

Il Bugigattolo è un bel bugiocattolo,
una bugifrottola, un bugicànele
un bugicannelle, una buginoce
moscata che hai tutta ben cucinata.

Il Bugigattolo balla anche un po':
fa il boogie boogie e sa il charlestòn
Scrive, dipinge, commenta a alta voce
la bugigiornata appena passata.

Il Bugigattolo è un bugigomitolo:
sfila e rifila finché un bel dì
vestiti e maglioni, guanti e presine

esploderanno oltre queste terzine.
Il Bugigattolo inizia così:
la palla salta più in su. Divertiamoci.